Dante Alighieri – Divina Commedia – Purgatorio – Canto IV – Sintesi e commento

Belaqua

Affresco trecentesco che si trova nel Camposanto di Pisa

La scena si svolge nel primo balzo dell’Antipurgatorio di cui il custode è Catone.

Il personaggio descritto nel canto è Belacqua.

I peccatori sono gli spiriti negligenti, che hanno come pena quella di rimanere nell’Antipurgatorio il tempo che vissero.

Il tema principale è quello del contrasto tra l’ansia di purificazione di Dante e la neghittosità delle anime penitenti.

Sono trascorse più di tre ore (tre ore e venti minuti[1]) dall’alba eppure D. non se ne è accorto perché le sensazioni di dolore e di piacere che prova nel suo animo ad ascoltare Manfredi, hanno escluso[2] che egli si occupasse di altre facoltà (vv. 1-4).

 E questo contro la errata dottrina[3] che ritiene che in noi un’anima si sovrapponga ad un’altra (vv. 5-6); la potenza sensiti­va[4] nel momento in cui Manfredi parlava a D. ed il poeta veniva preso da grandi passioni (udendo e ammirando), ha impedito che in D. potesse dispiegar­si quella intelletti­va[5], la quale fa in modo che l’uomo si possa accorgere dello scorrere del tempo (vv. 7-12).

Dante stesso ci dice di aver fatto appunto esperienza di ciò non accorgendo­si che il sole è già alto più di 50 gradi (appunto tre ore)[6] quando le anime indicano ai due poeti la strada meno ripida per ascendere la montagna (vv. 13-18).

L’apertura ristretta di una siepe, che il contadino si affretta a chiudere con una piccola forca di pruni[7], nel tempo prossimo alla vendemmia, per difendere l’uva, è più stretta dell’angusto sentiero attraverso il quale salgono i poeti appena si dipartono le anime (vv. 19-24).

 Mentre sui luoghi inaccessibili della terra[8] per le alture scoscese e i precipizi, si può giungere a piedi, la roccia del P. è così erta e la via così pericolosa che non giova la prontezza fisica: guidato dalla retta ragione (Virgilio) D. ascende faticosa­mente il monte dell’espiazione, da principio impervio ed aspro, per cui ci vorrebbero le ali veloci ed una grande fiducia (vv. 25-30).

Le due sponde laterali della viuzza scavata nella roccia stringono i due poeti tanto che per giungere al primo balzo occorreva l’aiuto delle mani e dei piedi[9] (vv. 31-33).

I poeti giungono sopra alla parete della montagna che vertical­mente si innalza sul piano, qui vi è un orlo (la scoperta piaggia), una zona dove è possibile avanzare allo scoperto, fuori dalla strettoia della roccia; D. si rivolge a V. e chiede che via dovranno seguire[10]; Virgilio risponde di non perdere alcun passo[11] e di avanzare dietro di lui fino a che non appaia qualche guida che sappia indicare la strada[12] (vv. 34-39).

Dante non riesce a vedere la vetta del monte perché la salita è molto ripida ed è stanco; chiede a V. di aspettarlo ed il Mantovano gli chiede di raggiungerlo su un ripiano poco lontano; D. acconsen­te e, giunti entrambi sul primo balzo, D. e V. siedono con il capo rivolto alla strada già percorsa[13] (vv. 40-54).

Dante si meravi­glia del sole che procede da sinistra[14] e ascolta Virgilio che intuisce la meraviglia di D. e gli spiega perché il sole li ferisca da quella parte: se invece che in primavera (sotto la costellazione dell’Ariete: è infatti il 10 di aprile) si fosse in giugno (sotto la costellazione dei Gemelli: Castore e Polluce) il sole sarebbe ancor più a sinistra (cioè a nord: verso le costellazioni dell’Orsa) rispetto ad ora in cui il sole è vicino all’equatore, a meno che esso decida di non seguire l’eclittica[15] (vv. 55-66).

Tutto ciò D. lo può verificare – dice V. – se il poeta immagina Gerusalem­me e la Montagna del Purgatorio come degli antipodi, in modo di avere un orizzonte unico e diversi emisferi; in tal caso D. potrà vedere che il cammino del sole (quel cammino cui Fetonte non seppe attenersi) va da un lato del Purgatorio verso nord quando dall’al­tro lato di Gerusalemme va verso sud[16] (vv. 67-75).

Dante replica che non ha mai visto chiaro come in quel momento una questione che gli sembrava superiore al suo intelletto; che il cerchio intermedio del più alto dei cieli[17] (il cielo cristallino del primo mobile) che in astronomia è detto equatore e che rimane sempre tra il sole e l’inverno, è tanto lontano dal Purgatorio, quanto lo vedevano lontano, verso mezzogiorno, gli Ebrei che abitarono Gerusalemme (in altre parole Gerusalemme e il Purgatorio sono equidistanti rispetto all’equatore[18]) (vv. 76-84).

D. vuol saper quanto cammino c’è ancora da fare dal momento che non vede la cima della montagna.

Virgilio afferma che la salita sarà più agevole man mano che si ascen­de[19] e quando sembrerà a D. di andare come una nave che scende seguendo la corrente (o col vento in poppa) allora finirà il cammino e D. potrà riposarsi dalle fatiche dell’ascesa; V. non può dire altro perché conosce soltanto questa verità[20] (vv. 85-96).

V. e D. incontrano le anime dei negligenti (pigri), sedute in terra: tra loro c’è Belacqua, amico di D. (vv. 96-139): V. finisce, infatti, di parlare ed i poeti sentono una voce che dice a D. che forse dovrà fermarsi prima a riposare[21]; V. e D. si girano al suo suono e vedono a sinistra un grande pietrone che prima non avevano notato; dietro di esso e all’ombra stanno sedute alcune anime in atteggia­mento pigro (vv. 97-105).

Una di esse[22] che sembrava stanca, stava seduta abbracciandosi i ginocchi con lo sguardo rivolto verso il basso; D. si rivolge a V. dicendogli di guardare quell’anima che è più negligente di quello che sarebbe se la pigrizia fosse sua sorella (vv. 105-111).

L’anima a questo punto muove leggermente il viso lungo la coscia[23] e rivolge a D. queste parole: <<Ora sali tu, che ne sei capace>>[24].

Dante lo riconosce e nonostante l’affanno della salita riesce a raggiungerlo; Belacqua gli chiede brevemente se ha visto il sole che fa splendere i suoi raggi da sinistra[25] e la pigrizia dell’a­ni­ma muove il poeta quasi al riso (vv. 112-122); non è triste per la sorte di Belacqua perché egli è salvo ma gli chiede che cosa stia facendo seduto in quel luogo, se stia aspettando una guida o se per caso abbia ripreso gli atteggiamenti usuali del tempo (vv. 123-126).

Belacqua replica con tenerezza chiamando D. fratello, e gli comunica che sarebbe inutile per lui arrivare alla porta del purgatorio dal momento che l’Angelo non lo farebbe passare (vv. 127-129)[26].

Prima di poter entrare nel Purgatorio è infatti necessa­rio che il sole giri attorno a lui quanto ha girato in vita, poiché egli ha indugiato a pentirsi sino all’ultimo; a meno che un’anima in grazia di Dio lo aiuti con le sue preghiere dal momento che le preghiere dei mortali non sembrano avere molta efficacia, (oppure che in terra non ha più nessuno che possa pregare per lui)  (vv. 130-135).

Virgilio chiede a D. di proseguire dal momento che è mezzogiorno nel Purgatorio e nel Marocco (che è situato a 90 gradi rispetto al Purgatorio) la notte è già giunta[27].

[1] Sono le 9.20 della mattina di Pasqua del 1300.

[2] D. per bocca di Stazio (Napoli 45 circa – intorno al 96. Poeta epico e lirico latino. Delle sue opere sono giunte a noi un breve frammento del carme sulla campagna germanica di Domiziano, l’intero poema epico della Tebaide, il primo libro e l’inizio del secondo dell’incompiuta Achilleide e le Silvae, raccolta in cinque libri di trentadue componimenti lirici, vari di metro e di argomento: descrittivo, funebre, consolatorio, familiare, ecc.) nel XXVV v. 52-81) D. ci spiegherà la dottrina aristotelica-tomistica ripresa anche da S. Alberto Magno sulla natura dell’anima: l’anima è una sola anche se ha tre facoltà (vegetativa, sensitiva, intellettiva) con cui l’essere umano vive, sente, ragiona; quando per motivi di gioia o dolore, l’anima è tutta impegnata nell’atto di una sua facoltà (come il vedere, il sentire, il toccare che appartengono alla virtù sensitiva) le altre nostre facoltà non sono in grado di intervenire.

[3] I platonici ed i manichei (in particolare Averroè)  che ritenevano che l’uomo fosse dotato di più anime. Platone sosteneva che l’uomo avesse un’anima concupiscibile, un’anima irascibile ed un’anima razionale; Aristotele e Tommaso lo controbattono parlando di un’anima sola con tre facoltà.

[4] Che racchiude tutta l’anima ed è ad essa vincolata, come è vincolata all’oggetto cui si rivolge.

[5] Sciolta dall’anima: cioè che l’anima non impedisce in presenza di una passione non forte.

[6] Il sole ogni ora sale di 15 gradi. D. fa molti rifermenti temporali perché è importante “contare” il tempo dell’attesa, dell’espiazione.

[7] “La via dei pigri, quasi siepe di spini” dicono i Proverbi (XV, 19).

[8] D. fa riferimento al castello di S. Leo nel Ducato di Urbino, alla città di Noli in provincia di Savona, al monte Bismantova nell’Appennino emiliano presso Reggio Emilia, al monte Cacume laziale (o la vetta del monte Bismantova) tra i monti Lepini presso Frosinone.

[9] È da mettere in relazione con le parole di Matteo (VII, 14) “angusta porta et arcta via est, quae ducit ad vitam” (“stretta è la porta e angusta la via, che conduce alla vita”). Gli antichi commentatori davano un’interpretazione allegorica del passo: la penitenza è dura, ma la sua durezza si vince con la perseveranza; richiede una abituale disposizione d’animo all’amore, le opere e la grazia illuminante, che conduce alla perfezione ed è cooperante di Dio.

[10] E ciò perché il “canalone” costituiva una via certa, mentre d’ora in poi V. sa soltanto che si deve salire e non tornare mai indietro.

[11] Secondo altri di avanzare, di acquistare terreno oppure di non far cadere invano i piedi in un’altra direzione.

 [12] Anche qui V. si dimostra perplesso ed incerto.

 [13] Chi riguarda la via del male, dopo aver avanzato nella virtù e nel bene, ne ricava uno stimolo più forte a perseverare, considerando i rischi della vita peccaminosa e gli spirituali vantaggi della sua lenta e dura fatica, spesa nell’acquisto delle virtù morali. Questo il senso allegorico del passo. Per il resto possiamo dire D. è soddisfatto d’aver compiuto la difficile ascesa e perciò si sofferma volentieri a riguardare il percorso ed il pericolo superato.

[14] Nell’emisfero australe il sole quando si guarda a levante proviene da sinistra, cioè dalla parte tra l’osservatore e il tropico del Capricorno (nord); l’inverso accade nell’emisfero boreale (nel nostro emisfero) che è a nord del tropico del Cancro: guardando ad oriente il sole proviene da destra, cioè da sud (tra l’osservatore ed il tropico).

[15] Eclìttica: cerchio massimo della sfera celeste descritto dal Sole nel corso del suo movimento apparente e individuato dall’intersezione del piano dell’orbita terrestre con la sfera celeste.

[16] Il sole cioè va da destra a sinistra sulla terra mentre va da sinistra a destra nel Purgatorio. Il sole infatti secondo il sistema tolemaico descrive attorno alla terra una linea obliqua, e dall’obliquità di questo percorso hanno origine le stagioni (Par. X, 13-21).

[17] Il Primo mobile nello spazio di 24 ore gira e fa girare tutti gli altri cieli intorno alla terra, ferma al centro dell’universo, secondo il sistema tolemaico.

[18] L’equatore è tanto distante dal Purgatorio (circa 32° di latitudine sud del tropico di Capricorno) quanto Gerusalemme che è a 32° di latitudine nord del Tropico del Cancro.

 [19] Ciò significa allegoricamente che vincere all’inizio gli ostacoli materiali che si frappongono all’ascesa  spirituale, è più difficile che proseguire: le opposizioni e i contrasti decrescono alla morte dell’uomo vecchio e alla nascita dell’uomo nuovo.

 [20]  Di altre verità che il mantovano non conosce farà infatti Beatrice partecipe D. sulla vetta del Purgatorio. V. rappresenta la ragione e quindi solo Beatrice può rispondere, con argomenti di fede, ai problemi che superano la capacità della ragione.

[21] C’è fin da queste parole un tono bonario di canzonatura (e di contrasto con le precedenti parole di V.) nei confronti del poeta; l’atmosfera di qui in avanti sarà quella soave del ricordo che già abbiamo incontrato con Casella.

[22] Si tratta di Belacqua, il cui vero nome probabilmente fu Duccio di Bonavia, un fiorentino, abitante del quartiere di San Procolo, che forse morì nel 1302. Dagli antichi commenti apprendia­mo che fu un fabbricatore di liuti e di chitarre, anche se viste le sue caratteristiche svolse quasi esclusivamente la professione di testimonio. Un anonimo fiorentino che fu forse il suo servo annota che tutte le mattine Belacqua si recava alla sua bottega e si metteva a sedere e non si alzava più fino a quando non era ora di mangiare o dormire. Una volta l’anonimo lo riproverò per il suo atteggiam­ento negligente e Belacqua rispose con una frase di Aristotele, che sedendo e riposando l’anima diventa saggia; al che l’anonimo rispose che se ciò era vero non esisteva persona più saggia di Belacqua. D. conosceva Belacqua perché abitava vicino a casa sua.

[23] La cosa è estremamente faticosa per un uomo di tal fatta.

[24] Il pigro dubita infatti che si possa fare d’un fiato la salita: la sua è la voce del buon senso pratico che prevede le difficoltà materiali e le sopravvaluta perché non può tener conto delle energie spirituali, che non possiede e quindi ignora.

[25] La cultura è per i pigri e gli ignavi argomento di riso e trastullo perché richiede sacrificio.

[26] C’è una legge nel P. che viene osservata da tutte le anime, ed una disciplina che non è lasciata all’arbitrio di ciascuna. Il neghittoso ha un suo contrappasso; vuole, come nel caso di Belacqua, i mezzi del suo riscatto, ma sa che la sua aspirazione rimarrebbe vana perché l’angelo non lo lascerebbe andare a purificarsi, vuole la preghiera ma sa che essa non verrà fatta per lui, e perciò come ha indugiato i buoni sospiri alla fine, così l’indugio sarà la sua pena: di qui la malinconia e questa sfiducia nelle sue sole forze, di qui i se e i ma che accompagnano lo svolgimento dell’episodio.

[27] In Gerusalemme è a questo punto mezzanotte.

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